COMMENTO DEL REGISTA

L’ideazione del film è nata nel 2002, grazie alla volontà di Agedo di dare voce ai genitori che si trovano di fronte al coming out di figlie e figli. Meglio dovrei dire, non dalla semplice volontà, ma da una imperiosa necessità. La necessità di condividere senza ipocrisia, l’urgenza di non vedere più altri ripercorrere un cammino di sofferenza credendo di essere i primi, e senza poter sapere che non era obbligatorio soffrire. Da figlio, ho condiviso questa necessità. E ho provato a raccontare la magia del percorso umano con la magia dello schermo, due misteri che mi attraggono da sempre.
Come sempre accade per il cinema documentario indipendente, è passato molto tempo prima di trovare le risorse per la produzione. Finchè con l’avvio del Progetto Daphne nel 2006, è cominciato il lavoro insieme a due straordinari collaboratori, Lucia Bonuccelli, psicologa, e Francesco Pivetta, docente e formatore, che hanno in seguito condotto gli incontri con i gruppi di genitori.

Ho cercato di entrare in punta di piedi con la macchina da presa in questi gruppi e nelle famiglie, dopo aver creato, grazie alla collaborazione psicologica degli esperti, le condizioni “protette” perché le persone potessero esprimersi senza allontanarsi dalla loro quotidianità, ma anche dando loro, con la ripresa, una occasione speciale di confronto e comunicazione all’interno della famiglia.
Dopo aver diretto “Nessuno Uguale, adolescenti e omosessualità” mi sono trovato davanti a una sfida diversa. Dovevo saltare dall’altra parte della barricata, non essere più solo figlio, ma anche genitore. E non potendo trovare nella mia biografia una eco forte come quando avevo dato voce al coming out di lesbiche e gay adolescenti, mi sono messo in ascolto. Ho scoperto un universo inaspettato, complesso, di grande fragilità. Il primo pensiero quando entrai in un gruppo di genitori che condividevano la loro storia dopo il coming out dei figli, fu che erano come noi, soli, emozionati, schiacciati dal giudizio della società, ma forse più smarriti. Noi da adolescenti avevamo sofferto ma ci eravamo costruiti gli anticorpi giorno per giorno crescendo. Loro, da grandi, in un giorno qualunque della loro vita, si erano trovati di fronte a una rivelazione che in un attimo aveva cancellato ogni certezza, le fondamenta di ieri e il senso del domani, i presupposti stessi della loro esistenza. Cosa hanno fatto a quel punto? Come hanno affrontato l’idea di aver generato una creatura che improvvisamente li “tradisce” diventando portatrice di uno dei più insostenibili stigmi sociali, legato al tabù del sesso, a quel “torbido” che non ha luogo nel mondo delle persone “per bene”, e tanto meno all’interno della famiglia? Così anche chi si percepiva sereno, almeno idealmente, nei confronti dell’omosessualità, non ha avuto gli strumenti per affrontare subito il mistero della genesi dell’omosessualità nel cuore della propria famiglia. Mistero come ogni mistero della natura, divenuto devastante perché non ha un luogo nella cultura, e meno che mai nella cultura genitoriale. Così il film indaga questo percorso tra le aspettative tradite dai figli e l’accettazione. Non tanto dell’omosessualità, ma della propria rinascita come genitori, ripartendo da zero, “facendomi guidare nei primi passi da mio figlio, mentre una volta la roccia per lui ero io” come dice un papà. La messa in discussione del proprio ruolo di genitori, la messa in dubbio anche solo per un istante, ma talvolta per molto tempo, dell’amore per i figli, il senso di perdita, il senso di colpa, la paura del giudizio. Tutto questo accade e poi pian piano si trasforma, diventa nuova energia e porta queste famiglie verso esiti inaspettati, verso una autenticità pungente che disarma qualunque pregiudizo. L’amore trionfa, ma non basta. Bisogna mettersi in gioco. E questi genitori hanno saputo farlo fino in fondo. Scoprendo che la loro è un goccia nell’oceano, e che c’è ancora tutto da fare.




© 2009 - Claudio Cipelletti per Agedo