MUSICHE
DAL FILM
LE
MUSICHE ORIGINALI DEL FILM
sono state composte da Christian
Schmitz
ed eseguite da Christian Schmitz, pianoforte, e Adalberto Ferrari,
sax contralto e clarinetto.
"IN
MOVIMENTO", brano finale del film,
è tratto dall'album “InMediataMente”
Il testo di questa
canzone, nato lo stesso anno delle riprese del film, è sorprendentemente
aderente al discorso
esistenziale e psicologico che accompagna il documentario, al punto
da sembrare scritto apposta per le scene finali.
La cantante e autrice è Marzia Stano, il gruppo si chiama "Jolaurlo".
Qui potete trovare il videoclip
della canzone e ascoltare gli altri brani.
IN
MOVIMENTO
Se volessi raccontarmi, non saprei da dove incominciare.
Dalla fine sarebbe un paradosso ma
sempre più semplice che farlo dall'inizio.
Ho già creato un microcosmo in miniatura,
dove convivono pacifiche meccanica e natura.
E non esiste più un genere sessuale,
svanisce il senso di quello che è "normale".
Oggi mi vedo come un quadro surrealista, surrealista.
Sempre diversa da ciò che appare a prima vista, a prima vista.
Io sono come il plasma, io sono come il vento
io sono come l'aria, in continuo movimento.
A volte credo nell'essere sinceri
e penso proprio che di meglio non ci sia.
Invece imparo che il mio mondo è un mondo strano,
che spesso premia la finzione e la bugia.
A volte credo che siamo il risultato di ciò che gli altri per
noi hanno desiderato,
e continuando per molto tempo ancora, sarò me stessa se camminerò
da sola.
Oggi mi vedo come un quadro impressionista, impressionista.
Sono l'essenza di ciò che appare a prima vista, a prima vista.
Vorrei che tu mi raccontassi dopo aver fatto l'amore,
ma so già che non ho sempre quella luce e quel calore.
Siamo capaci di essere bestie tanto quanto siamo conigli,
della pace i genitori, della guerra siamo i figli.
Questo brano è per me il più significativo,quello che
meglio esprime la mia persona, il carattere, ma anche la mia condizione
di vita. “Io sono come l’aria, sono come il vento. In
continuo movimento”.
L’incapacità di descriversi e raccontarsi dall’inizio
ad oggi, sentirsi come una pagina multimediale piena di link che permettono
di navigare dentro la mia persona, saltellando senza un ordine verticale
come le pagine dei libri stampati, ma orizzontale, trasversale.
Priva di rigore cronologico, analizzo me stessa a partire dal presente,
dalla fine. Per poi scoprire che il concetto dell’essere “se
stessi” è fin troppo astratto, poiché sin da piccolissimi
siamo sempre stati influenzati dal contesto in cui abbiamo vissuto.
Il nostro muoverci nel mondo è il risultato di una magica combinazione
tra lo spazio, il tempo e il caso. Il nostro carattere non è
un nocciolo duro collocato all’interno di noi, come la psicologia
strutturalista sosteneva, ma un massa molle continuamente condizionata
e modellata dalle persone che più ci stanno affianco, dagli
spazi che attraversiamo, dalle epoche che viviamo. Da qui la consapevolezza
che si è se stessi, quando si è da soli, ma anche questo
è un paradosso, poiché siamo noi stessi, solo nel confronto
con gli altri.
Guardandomi allo specchio mi vedo prima come un quadro surrealista,
“sempre diversa da ciò che appare a prima vista”,
come se l’immagine perfetta e tecnicamente curata, nascondesse
significati più profondi, conturbanti e diversi dall’apparenza.
Ma il giorno dopo lo stesso specchio riflette un’immagine di
me diversa, poco dettagliata ma incredibilmente aderente alle mie
sensazioni e al mio sentire. Un’immagine impressionista, uno
schizzo, una macchia di colore, una tempesta di emozioni.
In movimento non significa andare solo avanti, ma anche indietro e
soprattutto ai lati, sperimentare l’esperienza dei bordi. Parla
di me in una realtà sociale non più solida, chiara e
circoscrivibile, ma liquida, capace di cambiare a seconda del contenitore
che in quel momento la ospita. Di fronte a questa apparente dispersività,
mi attrezzo di fantasia e creo un mio mondo in cui sentirmi pienamente
cittadina: “Un microcosmo in miniatura, in cui convivono pacifiche
meccanica e natura, in cui non esiste più neanche la distinzione
di genere sessuale e svanisce il senso di quello che è normale”
Marzia Stano
L’album
“InMediataMente” nasce durante un tour degli Jolaurlo:
le canzoni sono state scritte per strada, in furgone, in camere d’albergo,
nei camerini un po’ sporchi e fumosi dei club. “InMediataMente”
nasce da un’urgenza artistica ed umana, in contrasto con il
precedente album “D’Istanti”, ideato e registrato
in un lungo arco di tempo. Questo prende forma come una colatura di
gesso nel suo calco. Immediatamente.
Nel reparto di ostetricia e ginecologia del rinomato The Cave studio
di Catania, il gruppo sceglie come loro chirurgo-ostetrico Daniele
Grasso, produttore artistico che materialmente rende possibile la
nascita di questo disco compresso e irrequieto. Il disco è
stato realizzato completamente in analogico, con l’acustica
e la riverberazione naturali della cava.
La caratteristica fondamentale degli Jolaurlo è l’energia
live ed è questo ciò che Daniele Grasso ha voluto sottolineare
nel disco. Chitarre e batterie ad altissimi volumi sembravano voler
far crollare tutto, ma il basso è diventato colonna portante,
impalcatura e cemento del nuovo sound; senza pericoli di crollo. Synthetizzatori,
giocattoli sonori e rari oggetti vintage hanno arricchito il suono,
finalmente sorretto da una potente base rock. Quello che ne è
uscito è un sapiente innesto di elettro-pop e un rock di matrice
indie. Per il gruppo: “PULP-ROCK”.
Ogni brano conserva il suono e l’alchimia della presa diretta,
rivalutando ruolo e poetica dell’”errore”: elemento
da preservare in una realtà dove tutto è ritoccabile,
simulabile e perfettibile artificialmente. L’errore resta indiscutibile
prova di umanità e autenticità.
“In-Mediata-Mente” descrive la nostra mente al centro
di un cubo, bombardato da input, messaggi e pubblicità che
ci fanno credere di desiderare cose che non ci appartengono, facendoci
allontanare di nostri sogni più veri. Questi lasciano il passo
a piccoli, inutili, superflui oggetti, a interessi che distraggono
l’attenzione da noi e la proiettano fuori, facendoci dimenticare
chi siamo e cosa vogliamo: esseri che sbagliano, che amano, che pensano
e che mutano continuamente.
“In-Mediata-Mente” è un disco scritto per non sentirsi
soli, per vivere nel movimento e nel cambiamento anche quando questi
nascono da una crisi. Scritto per imparare a non sentirsi spaesati
in una modernità che ci vuole veloci, eroici e vincenti. Per
raccontare con ironia e sarcasmo la condizione lavorativa di una generazione,
per parlare di musica, di poesia, di storie semplici.
Ma, soprattutto, è un disco scritto per il motivo per cui è
nato il rock’n’roll: far ballare.
©
2009-2011 - Claudio Cipelletti per Agedo